Un altro fatto grave ha scosso ognuno di noi in questi giorni: la morte di un pensionato sessantaseienne di Manduria preso di mira da dei ragazzini. Ciò che però mi lascia sconcertato, e che vorrei commentare, non è l’azione dei ragazzi in sé, ma i commenti e ciò che si muove attorno a questi fatti.

Il primo è l’idea espressa dallo psichiatra Vittorino Andreoli nel TG5 delle 20,00 di sabato 27/04/19 (lo trovate a questo link al min 2:10) e riportata dall’HuffingtonPost il giorno seguente.

Il prof. Andreoli ha affermato che nella testa di questi ragazzi c’è il vuoto e che questo è la causa delle azioni, in questo caso violente, che loro hanno agito.

Da adulto non posso accettare che si parli dei ragazzi di oggi in questi termini e cioè che si dica che nelle loro teste ci sia il vuoto. Penso sia una spiegazione troppo facile e troppo veloce alla violenza efferata e premeditata di cui abbiamo letto.

In secondo luogo, mi colpisce sentire parlare, nei servizi dei diversi TG e sui giornali nazionali, di “bullismo” ponendo l’attenzione sui video che i ragazzi hanno pubblicato. Sono convinto che queste non siano azioni di bullismo, il bullismo è altro! Queste azioni hanno un nome una gravità propria: si chiamano stalking, lesioni e omicidio preterintenzionale e sono atti violenti, puniti dalla legge, azioni criminali, sono reati.

Partendo da queste riflessioni mi chiedo quanto sia corretto che la responsabilità debba essere esclusivamente messa in capo a dei ragazzi con la testa vuota! O che il problema sia che abbiano ripreso le loro azioni e le abbiamo mostrate in pubblico e così poter dire che il problema sono “questi maledetti social network”.

Penso invece che sia necessario rimettere a fuoco le responsabilità e leggere la pubblicazione di quei video in modo differente.

Parliamo di responsabilità. Io proverrei a spostare l’attenzione dai ragazzi agli adulti. Con questo non voglio eliminare le specifiche responsabilità dei ragazzi e delle loro azioni. Dico che spesso i ragazzi si trovano a vivere all’interno di un contesto che è concretamente senza adulti. Si parla dei ragazzi, si parla della vittima, ma è completamente assente il mondo degli adulti che sa solo dire non ho visto, non ho sentito. La responsabilità, che come ho avuto già modo di dire in altri articoli, è porsi sempre di fronte all’altro, qui sembra essere venuta a mancare totalmente.

Per cui, ciò che c’è nella testa dei ragazzi, che sono impegnati nel costruire e formare le loro capacità di essere responsabili, che stanno sperimentando il loro posto nel mondo, non è il vuoto, ma in questo caso la confusione che il mondo degli adulti continua a dare con i suoi messaggi contraddittori, con le sue presenze fittizie, con il suo non esserci.

Il vuoto educativo è prima di tutto un vuoto di adultità che nasce dall’incapacità di noi adulti di saperci riconoscere persone, individui che stanno in piedi di fronte ad un Tu del quale e con il quale prendersi cura e camminare insieme.

In questa logica mi sembra di poter dire più chiaramente che i video delle violenze dei ragazzi diventano una richiesta di visibilità, un dire al mondo e agli adulti eccomi, sono qui. Una richiesta forte di presenza, una richiesta forte di relazione.

Per capire meglio tutto questo proviamo pensare a quei contesti dove la presenza degli adulti è reale, costante e di qualità.

Ho in mente alcuni gruppi di ragazzi che sto seguendo in un progetto sul contrasto alla violenza di genere. Sono ragazzi che fanno attività sportiva, che sono seguiti costantemente non solo dai genitori, ma soprattutto dai loro allenatori e dalla squadra. Sono ragazzi che sanno benissimo dov’è l’altro e fino a che punto possono spingersi. Sanno parlare delle loro emozioni e dei loro vissuti eppure vanno su internet, chattano con i loro compagni, hanno un profilo Instagram. Quando sbagliano, però, trovano qualcuno che li aiuta a rivedere le loro posizioni per riprendere il percorso. Sanno che al loro fianco c’è qualcuno che li sorregge e con il quale si possono confrontare senza essere giudicati.

Forse al posto di giudicare è l’ora di passare all’azione dell’ascolto e dello stare.