In questi giorni così intesi di fatti tragici e macabri a lato dei quali padri distratti si perdono in riflessioni superficiali e poco contestualizzate, mi pongo alcune domande circa il nostro contesto socio culturale e su che tipo di paternità e maternità intende proporci e proporre soprattutto alle nuove generazioni.

Parlare dell’essere padre non significa escludere l’essere madre, ma significa fare in modo che le riflessioni sulla vita e la genitorialità non siano sempre, o quasi, sbilanciate sul livello materno, dimenticando che i figli sono il frutto di una relazione che vive pur sempre di luci e ombre.

Vorrei allora provare a riflettere sulla genitorialità e di conseguenza sulla paternità tentando di uscire dal paradigma biologico e genetico, che credo ormai superato, per entrare in un quadro culturale attraverso il quale leggere gli eventi genitoriali.

Da dove viene un figlio? Prima che da un’atto biologico e genetico un figlio nasce nel pensiero e nel cuore di un uomo e/o di una donna. Di primaria importanza diventa il significato che l’individuo attribuisce al mettere al mondo un figlio. la procreazione passa da elemento naturale subito, a evento di responsabilità, di scelta. In quest’ottica i genitori si trovano a investire molto sul figlio, spesso l’unico, generando in questo modo una problematica: i figli sentono di dover corrispondere a un’immagine di sé ideale, estremamente impegnativa e spesso irraggiungibile. Questo fa in modo che il bambino diventi un contenitore delle difficoltà dei genitori, una forma di realizzazione (Di Vita – Brustia, 2008, 16).

L’intersoggettività di questa esperienza fa elaborare a Bayle, così come espresso da De Vita – Brustia, il concetto di “Identità concezionale” (De Vita – Brustia, 2008, 17). L’autore, infatti, prendendo lo spunto da alcune circostanze di nascita, in cui un bambino occupa il posto di un figlio mai nato o perduto, la gravidanza a seguito di violenza sessuale, la sterilità o la fecondazione assistita, sottolinea le implicazioni psico-corporee dello spazio mentale materno, che si esplica attraverso un forte dialogo interattivo mettendo i risalto le componenti culturali dal concepimento alla nascita; il significato della storia di ogni essere umano che si intreccia con la storia materna. Infine il concetto di “identità concezionale” riguarda anche l’ambiente famigliare e sociale in cui la donna si colloca entro le categorie dello spazio e del tempo (De Vita – Brustia, 2008, 17).

Prendendo spunto dal concetto di “identità concezionale”, possiamo ora provare a pensare la genitorialità come non limitata alla generazione strettamente biologica, ma aperta a uno spazio concettuale in cui le relazioni interpersonali e la dimensione simbolica la costruiscono nel qui ed ora dell’interazione tra gli individui (Fava Vizziello, 2003, 73). Parafrasando in qualche modo le parole di Erikson, potremmo indicare la genitorialità come la procreazione corredata della virtù della cura (Erikson, 1999, 64).

Essere padri e madri è, quindi, l’espressione dell’incarnazione del concetto di genitorialità.

Padri e madri si trovano di fronte al mettere in atto una cura responsabile che si esplicita attraverso la realizzazione di due codici differenti che afferiscono da un lato ad un polo affettivo e dall’altro ad uno normativo. Entrambi hanno a che vedere con la responsabilità della cura inscritta nella relazione genitori–figli e che è espressa in modo differente, ma complementare dall’essere madre e padre.

La cura responsabile è un compito comune di entrambi i genitori in modo simbolico possiamo ora collegare il polo affettivo con la funzione materna e quello etico-normativo con quella paterna.

In linea di massima possiamo definire la funzione materna come quella specifica capacità di dare cura, protezione, affetto e contenimento. Attraverso di essa il bambino elabora un senso di fiducia e di speranza che lo aiuta a contrastare l’angoscia della perdita e della morte.

La funzione paterna è invece collegabile al polo etico-normativo attraverso il quale è possibile sviluppare il senso di giustizia e di lealtà nelle relazioni. Tale sviluppo contribuisce alla trasmissione dei beni materiali e morali espressa nei valori, nelle norme educative e della vita famigliare, nel senso di appartenenza e nelle tradizioni da rispettare.

Nel ragionare su questo doppio codice possiamo verificare che le funzioni paterne e materne non sono suddivise tra padre e madre, ma vanno condivise da entrambi i membri della coppia genitoriale. Nel tempo moderno i codici paterno e materno sono sentiti come interscambiabili e non più prerogativa di uno solo dei genitori (Scabini-Iafrate, 2003, 119-120).

Proprio da questa dinamica d’interscambiabilità rileviamo come una nuova lettura antropologica e psicologica sul tema del padre sottolinei proprio la differenza del ruolo materno da quello paterno. Secondo questa interessante visione per essere padri migliori non occorre diventare più madri, ma essere più coppia (Salerno-Di Vita, 2004, 50).

Così proprio in questa dinamica di coppia elenchiamo alcune categorie di comportamenti di cura della prole, una  tassonomia della genitorialità. Essa rappresenta probabilmente comportamenti universali pur nella consapevolezza che il loro modo di attuazione varia secondo il contesto culturale di riferimento sia in termini qualitativi che quantitativi:

  1. Comportamenti nurturant cioè di protezione famigliare. Soddisfano le richieste biologiche e fisiche oltre a quelle connesse alla salute.
  2. Comportamenti di accudimento fisico, mirati a promuovere lo sviluppo psicomotorio. A sua volta il modo con cui i bambini crescono e maturano determina il modo in cui i genitori entrano in contatto con loro.
  3. Comportamenti di stimolazione sociale, che comprendono il vasto insieme dei comportamenti visivi, verbali, affettivi e fisici messi in atto dai genitori negli scambi interpersonali. La genitorialità nel dominio sociale comprende tutte le modalità con cui i genitori aiutano i figli a dirigere e regolare le proprie emozioni.
  4. Comportamenti di stimolazione didattica. Rappresentano l’insieme delle strategie con cui i genitori aiutano i figli a esplorare e comprendere l’ambiente al di fuori della diade e ad agire su di esso. Con questi comportamenti è messa in evidenza la capacità educativa dei genitori quale funzione vitale e fondamentale della genitorialità umana.
  5. Comportamenti di accudimento materiale, che rappresentano l’organizzazione del modo fisico attorno al bambino.

Come accennavamo in precedenza culture differenti distribuiscono questi compiti in modo differente tra padre e madre. Sondaggi di confronto tra le diverse culture attestano il primato delle madri nell’accudimento e nella crescita dei figli (Bornstein-Venuti, 2013, 44-46).

Anche se padri e madri sono simili nel rispondere ai richiami dei bambini neonati con comportamenti sociali e di nutrizione, resta vero che padri e madri non sono equivalenti nel fornire risposte adeguate.

Da recenti studi[1], sembrerebbe che il dimorfismo comportamentale non risulti da differenze sessuali fisiologicamente basate, ma principalmente come risposta alle pressioni e alle aspettative sociali, è pur vero che il padre sembra essere principalmente più un partner di gioco del bambino e che il gioco del padre risulta essere più stimolante e vigoroso. In generale, quindi, le madri sono associate alla presa in cura del figlio, mentre i padri a un’interazione più giocosa.

Un dato da tenere presente è legato dalla condizione di lavoratori di entrambi i genitori, tipico dell’età moderna. Infatti, madri impiegate stimolano i loro figli più di quelle casalinghe e sono più interattive dei loro mariti. I padri sembrano più interattivi quando la madre è in casa, al contrario quando è fuori. In entrambi i casi, la cura fisica del bambino è assolta dalla madre.

Un’ultima riflessione riguarda il concetto di cogenitorialità. Esso si riferisce alla maniera in cui i genitori si relazionano tra loro nel ruolo di genitore come l’essere o meno in accordo sulle questioni di allevamento dei figli, sul supportare/screditare il ruolo genitoriale e la gestione congiunta delle relazioni famigliari.

Questo concetto, esprime bene la situazione sociale attuale. Solo l’essere più coppia e corresponsabili della cura può condurre i figli a uno sviluppo armonico e globale. Solo la condivisione da parte dei genitori di mete e modalità di interventi permetteranno ai figli di affrontare i momenti critici per giungere ad una individuazione differenziazione necessaria alla costruzione della propria identità. Infatti, come sostenuto da Bornstein e Venuti: «Il supporto emotivo reciproco e la validazione, il modellamento e la condivisione delle abilità genitoriali, la stabilizzazione del conflitto coniugale o l’insoddisfazione che si ripercuote nei rapporti con i figli costituiscono alcune delle modalità di funzionamento della cogenitorialità che contribuiscono allo sviluppo del bambino» (Bornstein-Venuti, 2013, 49).

 

 A cura del Dott. Marco Volante,

[1] Si fa riferimento agli studi citati da Bornstein-Venuti, 2013, 50.