Stiamo vivendo un periodo molto complesso che appare come un tempo incerto, in particolare se guardiamo agli ultimi avvenimenti legati alla diffusione di questa nuovo virus (#coronavirus) altamente infettante, sconosciuto e in alcuni casi anche letale.

Tutto ciò pone ognuno di noi in una condizione di incertezza e sospensione.

La sensazione e l’incertezza sono alimentate dal fatto che “Il fenomeno del coronavirus sembra essere iniziato come panico, ma tende a diffondersi come terrore“. Così afferma lo psicologo e psicoterapeuta Giovanni Salonia (direttore dell’Istituto di specializzazione in psicoterapia della Gestalt, HCC Kairos). Ed è proprio la sensazione di terrore che, spiega sempre Salonia, “avvertiamo quando ci sembra di correre un grave pericolo, ma senza avere davanti il volto del nemico: non sappiamo da dove arriverà quindi non abbiamo strumenti per difenderci e restiamo come paralizzati (si pensi a quello che è accaduto l’11 settembre e subito dopo)“.

In questa situazione anche i social media possono essere di sostegno e aiuto e allo stesso tempo un loro utilizzo improprio può aumentare la sensazione di smarrimento, confusione e terrore.

Se da un lato i media servono a tenerci informati e a cogliere con immediatezza approfondimenti e direttive necessarie, d’altro canto possono portarci a vivere queste ore in un’atmosfera di terrore generale. Penso in particolare alla modalità che spesso viene utilizzata di veicolare file audio, che raccontano di situazioni critiche e preoccupanti, dati come provenienti da fonti ospedaliere. Al di la della verifica che si tratti o meno di fake news, l’ascolto di questi messaggi produce sensazioni ed emozioni spesso sconosciute, a volte non riconosciute, ma sicuramente difficili da gestire. Emozioni che dirompono con la loro forza nei vissuti delle persone generando spesso comportamenti poco adeguati e sicuramente non consapevoli.

In questo modo una delle caratteristiche più belle dei social media e di internet quali la velocità si trasformano in un boomerang che sferza, di ritorno, in modo prepotente il vissuto delle persone.

Fatta questa premessa, credo che a livello psico-sociale sia necessario che impariamo ad agire su due versanti. Da un lato è necessario #rallentare. Rallentare la nostra corsa economica, la frenesia della comunicazione, la nostra abitudine alla libertà di essere dove vogliamo e quando vogliamo, il ritmo frenetico delle nostre relazioni lampo. Rallentiamo per rallentare l’avanzata dell’infezione virale.

Possiamo fare questo sostituendo una stretta di mano con l’attenzione ad uno sguardo gentile. L’irruenza del nostro vissuto corporeo con la consapevolezza della nostra distanza dal corpo degli altri. E questo non solo nel mondo analogico ma anche in quello digitale.

Continuiamo pure a frequentare il mondo digitale, ma diamoci il potere di frequentarlo prendendoci il tempo necessario. Ecco l’altra necessità che abbiamo di fronte: prenderci il tempo necessario. Il tempo per leggere un articolo, una riflessione, una condivisione per sentire nel profondo quale vissuto ci lascia. Possiamo prenderci il tempo per condividere una riflessione che sentiamo scaturita da una lettura o dall’osservazione della distanza che ci separa fisicamente gli uni dagli altri.

Tutto questo ci permetterà di comprendere, a partire dal nostro corpo, quale posto e quale responsabilità mettiamo in campo per il bene comune. Possiamo, ad esempio, decidere di postare un commento non dettato dell’immediatezza della sensazione, ma pensato dalla profondità nata dall’elaborazione del nostro vissuto e delle nostre emozioni.

Questa è l’occasione per un capovolgimento di mentalità. Sia nel mondo analogico che in quello digitale è necessario rallentare per prendersi il tempo di costruire relazioni più profonde.