Il termine virtuale etimologicamente deriva del latino medioevale virtualis che a sua volta proviene dal Latino classico virtus cioè virtù, facoltà, potenza.

Il suo significato originale ha a che vedere con la forza, la potenza, in particolare con la forza e la potenza di poter essere, di poter esistere. Proprio in questo senso i filosofi lo hanno usato principalmente rendendolo sinonimo di potenziale, esistente in potenza. Virtuale è un termine che trova applicazioni in tanti ambiti: fisica, meccanica, tecnica ferroviaria e stradale, fisica quantistica, medicina, informatica, letteratura, telefonia, ecc. In ognuno di questi ambiti porta sempre con sé il valore di realtà che potrebbe verificarsi, in potenza[1]: vista, ma non realizzata.

Un concetto, quello del virtuale che entra anche nella vita reale, quando facciamo ipotesi o cerchiamo di valutare una possibilità di realizzazione, un po’ come una simulazione per cui virtualmente è possibile e necessita di una verifica nel reale. Il virtuale ci riporta inevitabilmente ad un livello immaginifico, fantasioso, basti pensare a certi giochi digitali o a ricostruzioni storiche digitali del passato o a visite virtuali di musei.

Lo stesso concetto di realtà virtuale, nell’epoca moderna lo applichiamo ai social media. Qui verifichiamo fin da subito che ciò che abbiamo pensato fino ad ora rispetto al “virtuale” comincia a poter essere messo in discussione.

L’utilizzo della parola virtuale che abbiamo fatto fino ad oggi ci porta a pensare che esistono due realtà una reale che è quella che viviamo costantemente in carne ed ossa tutti i giorni, quella nella quale sperimentiamo le nostre emozioni, nella quale condividiamo le nostre relazioni. E un’altra virtuale, immaginifica e fantasiosa, quella dove tutto è permesso, dove mi creo un’immagine dei miei desideri e delle mie relazioni ed emozioni, un’immagine che non si avvera e che resta potenzialmente lì in attesa di trovare una sua strutturazione e realizzazione concreta.

È necessario invece percepire la realtà virtuale come una realtà vera e propria. Infatti, quando ognuno di noi agisce nei social è come se mettesse a disposizione di tutti i propri interessi, ma anche le proprie emozioni e spesso i propri sentimenti. I social media sono come una piazza reale nella quale ci si incontra, si discute, si piange e si litiga. Il punto è che tutto questo ognuno di noi lo fa con persone vere. Anche se non vediamo e non sentiamo, dall’altra parte (probabilmente e spesso anche dall’altra parte del mondo) ci si trova di fronte una persona vera che vive sentimenti propri, sperimenta emozioni che esprime con un suo vissuto proprio. Questa persona inevitabilmente reagisce alle nostre parole o ai nostri sentimenti, anche quando non risponde. Solo che noi non sappiamo quale sia la sua risposta. Potrebbe non postare niente oppure postare altro rispetto a quello che è in realtà la sua reazione.

Allora credo che parlando di realtà virtuale dobbiamo intendere quella realtà che può essere espressa tramite internet. Una realtà vera e propria dove, sia adulti che ragazzi vivono e si sperimentano quotidianamente.

Nel nostro quotidiano la realtà virtuale sta sempre più diventando la modalità di vivere degli uomini e delle donne. Da un lato cogliamo il positivo del restare in contatto, del ritrovarsi, della facilità di poter comunicare e scambiare opinioni e idee. Dall’altro dobbiamo purtroppo riscontrare quanto sia più difficile proteggersi, quanto sia più difficile usarla in modo consapevole.

Per gli adolescenti in particolare che stanno costruendo l’identità il rischio più grande è quello di costruire un’identità diffusa e quindi incapace di integrare parti importanti del sé. In quella che Erickson ha chiamato moratoria psicosociale, l’adolescente ricerca esperienze e identificazioni. Spesso in internet il minore trova uno spazio, come su un palcoscenico, nel quale provare le proprie identità, sperimentarle e trovare qualcuno con cui identificarsi[2]. In questo processo diventa importante l’accompagnamento degli adulti e la capacità dell’adulto di portare il ragazzo a vivere anche in internet in modo consapevole.

Possiamo definire la consapevolezza come la modalità che ha l’uomo per compiere la sua vita avendo sempre presente a se stesso e al suo corpo quello che fa e quello che è; in questo modo attraverso di essa potremmo evitare di vivere nel “computer…, oppure in queste risposte desuete o ancora nel vostro modo rigido di affrontare la vita”[3].

La consapevolezza ci porta, quindi, a vedere internet come un mezzo che veicola espressioni, emozioni e sentimenti e che facilita l’incontro. Ci aiuta ad ascoltare e tenere presente nel qui e ora anche la nostra corporeità che è la realtà dell’incontro con l’altro reale e presente anche se mediato dal mezzo internet. Rispetto al contatto “faccia a faccia” ci manca spesso l’immediatezza della risposta e il conteso fatto anche di suoni e di odori nel quale si sperimenta la relazione. In continuità abbiamo però il nostro corpo che ci parla se lo sappiamo ascoltare nel presente portandoci inevitabilmente a essere consapevoli dei processi che avvengo attorno a noi.

A cura del Dott. Marco Volante

[1] AA.VV. (2016). Virtüale. Treccani.it – Vocabolario on line. Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana (visitato il 08/10/2016).

[2] Billè, C. – Tagliaferro, G. – Volante, M. (2015). I nuovi adolescenti e la fuga nel virtuale. Bologna: EDB.

[3] Perls, F. (1977). L’approccio della Gestalt e testimone oculare della terapia. Roma: Astrolabio.