In questo particolare momento storico, stiamo vivendo tutti sensazioni ed emozioni che per alcuni sono nuove, mentre per altri sono l’amplificazione terrificante, di ciò che vivono normalmente.
Certamente siamo tutti impauriti in quanto stiamo affrontando un nemico letale, invisibile. Non sappiamo come riconoscerlo e come affrontarlo. COVID-19 mette a dura prova il nostro modello relazionale, ci costringe all’impensabile. Chiudono paesi interi, chiudono fabbriche, attività lavorative, addirittura si chiudono i cittadini nelle proprie case. Alle persone viene tolta la libertà che fino a pochi giorni prima hanno avuto, libertà di movimento, di aggregazione. Ad alcuni, il virus, toglie persino la vita. Tutto questo ci impaurisce, a volte ci mette ansia fino al punto di terrorizzarci.
Paura, ansia e terrore. Mentre le prime due possono considerarsi preziose compagne di viaggio, a volte un po’ scomode, ma sicuramente preziose sotto tanti aspetti. Il terrore è invece un elemento che non è comune e che provoca in chi lo vive un profondo disagio e a volte un senso impotenza per l’impossibilità a poterlo risolvere. Facciamo un passo alla volta e proviamo a definire bene il senso, per quanto possibile, di queste esperienze.
Possiamo pensare l’ansia partendo dagli aspetti fenomenologici legati al nostro corpo e definirla come “l’esperienza di provare difficoltà nel respirare durante qualsiasi eccitazione bloccata”. Pensiamo a situazioni in cui ci siamo ritrovati in ansia e troveremo che c’è sempre una direzione che abbiamo intrapreso e una paura (per qualcosa o qualcuno) che ci affatica e rende più difficile il nostro avvicinarci a quella meta. Questo produce immediatamente un aumento dei battiti cardiaci, una respirazione affannosa, un’irrequietezza. Infatti, l’energia che prepara un’azione, sia essa erotica, aggressiva, di confronto, creativa o espressiva porta l’organismo a richiedere più aria a causa del processo metabolico di ossidazione delle sostanze nutritive. In un organismo sano l’aria arriva a gonfiare i polmoni e l’energia sprigiona l’azione per raggiungere l’obiettivo. Se invece l’energia in aumento viene soffocata perché il respiro si blocca, arriva l’ansia e l’azione si spegne. Teniamo presente che questa realtà accade nel qui e adesso e nel corpo. Trattenere il fiato, limitare la profondità del respiro serve a inibire o ridurre la percezione di sentimenti dolorosi o spaventosi e a bloccare il movimento spontaneo attraverso la tensione muscolare o la rigidità.
Proviamo a fare ora un salto in profondità per comprendere quali meccanismi psichici fanno scaturire lo stato d’ansia e lo facciamo usando la chiave ermeneutica della Gestalt Therapy (GT).
Proviamo a pensare la persona come un Organismo (O.) che vive, si sviluppa e cresce attraverso il processo dell’entrare in contatto con l’Ambiente (A.). L’O. cresce e si realizza attraverso la realizzazione di contatti “buoni”, adeguati, che raggiungono il compimento e la pienezza. Ora, nel percorso che porta l’O. a incontrare l’A. l’eccitazione che produce l’azione è sostenuta da tre esperienze:
a. Attrazione: il nuovo contatto è interessante per cui posso muovermi nella sua direzione;
b. Paura: è l’emozione che permette all’O. di stare in guardia;
c. Coraggio: è ciò che da la spinta e permette di raggiungere la meta che è l’incontro con l’A.
Nel momento in cui la paura sovrasta il coraggio, l’eccitazione si blocca e l’O. non fa più contatto con l’A. dedicandosi ad altro anziché seguire il suo desiderio principale. In questo modo comprendiamo che l’ansia è proprio quell’eccitazione bloccata. Quell’andare verso che, nel momento in cui si blocca, produce ansia.
L’eccitazione primaria che possiamo verificare quotidianamente e con molta facilità, partendo dal nostro corpo, è proprio il respiro. Bloccando il respiro, il corpo si irrigidisce e l’ansia prende il sopravvento: «Sono le tensioni – spiega G. Salonia – a creare pensieri negativi, relazioni disfunzionali». Ammorbidire le tensioni corporee ripristinando la profondità e la fluidità del respiro sostiene il coraggio e questo ci permette di riprendere il cammino per superare la paura e dirigerci verso il contatto che altrimenti rimarrebbe incompiuto.
Quello di questi giorni è il tempo in cui la paura rischia di prendere il sopravvento, soprattutto là dove sperimentiamo il terrore. Rispetto alla paura, che generalmente ha un “nemico” da cui difendersi, il terrore arriva quando il volto del nemico non si vede e non si scorge. E non è forse questa l’esperienza che facciamo dove qualsiasi cosa che attuiamo per difenderci ci sembra fragile, inutile, vacillante? In cui rischiamo di confondere l’altro per nemico rinchiudendoci in un isolamento sociale in cui vince la paura e si alza il nostro livello di ansia?
È necessario in questo tempo recuperare il coraggio, dare forza alla speranza. Possiamo recuperare il coraggio solo se recuperiamo la nostra umanità, il nostro essere relazione: «Partiamo dall’ascolto del nostro cuore, delle nostre paure – afferma Salonia – Se cerchiamo una risposta la troveremo dentro il nostro corpo, la troveremo insieme agli altri».
Pur rimanendo fedeli alla consegna della distanza fisica è necessario, oggi, recuperare la vicinanza sociale. Un sorriso, uno sguardo, una parola. Una prossemica nuova che dica unità pur nella separazione, che dica vicinanza pur nella lontananza. Allora sì tutto andrà bene.