È di questi giorni la notizia di un preside che ha trovato scritto sul muro della sua scuola la frase “il preside è gay”. Avvisato immediatamente dai docenti il prof. Gianluca Dradi, dirigente scolastico del Liceo Scientifico “Oriani” di Ravenna, ha affermato: “non la cancello, la lascio li affinchè rimanga come pietra di inciampo per l’intelligenza umana”.

Due sono le riflessioni che mi nascono spontanee.

In primis l’utilizzo che facciamo dei termini, delle parole. Spesso, come in questo caso, carichiamo le parole di significati che esse non hanno. La parola gay in sé non è offensiva. È semplicemente un modo per indicare l’orientamento sessuale di una persona. Ciò che può essere offensivo è l’uso che le persone fanno di questa, come di altre parole. E qui veniamo alla seconda riflessione.

Mi piace pensare che il preside abbia colto questo evento come una sfida educativa e non come una prova di forza. Ha dato senso alle parole e ha fatto il preside di un liceo: occuparsi dell’educazione dei suoi alunni. Molto spesso, nel campo educativo pensiamo che la reazione migliore sia quella della forza, come se l’uso della forza sia equivalente alla presa di coscienza delle proprie responsabilità. Invece il processo è diametralmente opposto: la responsabilità è la capacità di mettersi di fronte all’altro potendolo guardare negli occhi e riconoscendo tutto quello che sono io e tutto quello che è l’altro. Ed è proprio in questa responsabilità che si innesca il processo di crescita delle persone.

Quando una persona sente il bisogno di caricare parole di significati differenti, da quello che esprimono, dando ad esse generalmente accezioni negative o offensive, tenta di spostare fuori di sé un disagio che probabilmente non riesce ad affrontare, caricandolo in questo modo sugli altri. Questo meccanismo non permette alle persone di crescere, ma le fa rimanere ferme e rigide sulle loro posizioni.

L’azione del prof. Dradi è stata in realtà una reazione educativa, con un intento ben preciso che è quello di portare alla riflessione sull’uso delle parole l’autore di questo gesto. Non sappiamo se poi il risultato ci sarà o meno, sicuramente la sfida è stata colta. L’autore del gesto è stato ascoltato ha ricevuto un segnale al quale potrà decidere di rispondere in un modo o in un altro.

Vero è che il suo disagio rimarrà finché non deciderà di affrontarlo, mettendosi di fronte a sé e agli altri.

dott. Marco Volante, psicologo e psicoterapeuta