Parlare della morte può essere difficile e spaventare, soprattutto se dobbiamo farlo con un bambino. La tendenza è quella di rimandare l’argomento fino a che non sia proprio necessario. Si pensa che un bambino magari di 3 o 4 anni non sia ancora in grado di comprendere appieno il concetto della morte, oppure che sia per lui un dolore troppo grande da sopportare, per questo si tende ad evitare l’argomento pensando di proteggerlo.

È giusto invece che i bambini abbiano la possibilità di confrontarsi, in modo per loro comprensibile, graduale e adatto all’età, con questa parte della vita e soprattutto che possano farlo sentendo che è qualcosa di cui si può parlare e che, come tutte le cose, si può imparare a gestire, nonostante emozioni molto intense.

Come può un individuo imparare a confrontarsi in modo funzionale con la morte se gli adulti di riferimento non glielo hanno mai mostrato durante lo sviluppo? Potrebbe succedere che ci si trovi a dover gestire un lutto, magari da adolescenti o da adulti, senza sapere come ci si sente ed esserne sopraffatti, non sapere che il dolore, per quanto grande, è possibile imparare a controllarlo con il tempo. Trovarsi a gestire un lutto senza aver fatto il giusto “training” può renderlo ancora più faticoso e doloroso del necessario, prolungando le fasi di elaborazione. Detto questo però, non è neanche utile angosciare un bambino con l’idea della perdita, magari producendo in lui ansia e angoscia per ciò che potrebbe succedere. Ecco perché è un argomento che va affrontato con sensibilità e accortezza.

Quali sono quindi le strategie che, noi adulti, possiamo mettere in campo per aiutare i bambini a crescere sereni e allo stesso tempo dotarli delle abilità adeguate perché in futuro possano affrontare un lutto in modo sano e funzionale?

Se il bambino si trova di fronte un adulto che non ha paura di parlarne è già un ottimo inizio!

Per cominciare rispondiamo alle loro domande in modo semplice, onesto e credibile. Se un bambino, anche piccolo, ci pone una domanda significa che è pronto per parlarne, si è già posto il problema, ci ha ragionato e ha necessità di ulteriori informazioni perché il puzzle sia chiaro nella sua testa. Sforziamoci quindi di trovare le parole giuste per completare il quadro, che il bambino sta già elaborando, mettendo insieme i pezzi che inevitabilmente raccoglie dalla vita che lo circonda: i cartoni animati, il racconto di qualche compagno di scuola, le conversazioni tra adulti, il telegiornale che solo apparentemente non stava seguendo, l’animaletto morto trovato in giardino, la morte di qualche parente che magari si frequentava poco, etc.

Non abbiate neanche paura di spiegare gli aspetti fisici della morte. Spiegate al bambino perché ad esempio il topolino trovato in giardino potrebbe essere morto (per esempio era molto vecchio, era molto malato e alcune parti del corpo hanno smesso di funzionare…) e cosa succede al corpo. Non ditegli che sta dormendo o potreste creargli ansia nell’addormentarsi, anzi distinguete bene le due cose. Date una spiegazione breve e concreta, adattando il linguaggio e i dettagli in base all’età. Ditegli che a volte alcune parti del corpo si rompono e non possono aggiustarsi, il cuore smette di battere e si smette di respirare. Potreste anche sotterrare l’animaletto insieme e spiegargli che così quel corpo potrà ancora essere utile alle piante che si trovano lì vicino. Fornite anche rassicurazioni, per esempio ”…il più delle volte però, anche se ci si ammala si può guarire, i dottori ci aiutano proprio in questo”.

Anche se siete credenti, con i bambini molto piccoli evitate frasi come “…era così speciale che Dio l’ha voluto a fianco a sé…” perché questo potrebbe creare incertezza, ansia e il bambino potrebbe pensare che comportarsi bene non sia poi così vantaggioso. Evitate anche frasi come “è la volontà di Dio” perché potrebbe passare un’idea negativa di Dio. Anche “…è andato in cielo/paradiso…” potrebbe essere difficile, per un bambino piccolo, da immaginare e potreste andare incontro ad ulteriori domande.

Di grandissima importanza è sfruttare tutte le occasioni che possono presentarsi per parlare di come vi sentite e di cosa fate per stare meglio. Questo è il vero training che gli servirà per tutta la vita! Potreste fare un esempio su un lutto che vi è capitato, descrivete come vi siete sentiti e cosa avete fatto per stare meglio. Ditegli che all’inizio eravate tristi, piangevate, magari eravate anche arrabbiati perché pensavate fosse ingiusto, ma che poi piano piano la tristezza si è affievolita, avete trovato il modo di andare avanti e tornare ad essere felici pur continuando a sentire la mancanza della persona cara.

Se stiamo guardando un cartone con il nostro bambino e un personaggio muore, verbalizziamo le nostre emozioni, ad esempio: “questa scena mi fa sentire molto triste e arrabbiato, mi viene da piangere, anche a te fa questo effetto? È proprio triste doversi separare da qualcuno a cui si vuole bene.” “Vedi però ora i personaggi sono più allegri perché…”. È fondamentale parlare delle emozioni. Nasciamo già dotati della capacità di provarle, ma per riconoscerle, nominarle e gestirle bisogna imparare, con tanto allenamento. Quindi noi adulti dobbiamo insegnare ai bambini che quello che stanno provando in quel momento si chiama tristezza, rabbia, malinconia o altro e che è normale, può essere spiacevole e doloroso ma è comune a tutti. Questo è importantissimo perché se non conosciamo le emozioni, potremmo esserne spaventati e sopraffatti o magari ci convinciamo che ciò che proviamo è sbagliato, che agli altri non capita e che noi non siamo in grado di affrontare tutte queste emozioni. Oppure al contrario, potremmo convincerci che se riusciamo ad andare avanti con la nostra vita non abbiamo sofferto davvero per la perdita, sentendoci in colpa. Sembrano situazioni paradossali ma, nella mia esperienza clinica, è capitato più volte di incontrare adulti con questo tipo di difficoltà che si andavano ad aggiungere al dolore per il lutto stesso.

Forniamo quindi al bambino delle strategie per gestire quelle emozioni, che non vuol dire reprimerle o nasconderle. Insegniamogli che è bello condividere con gli altri anche le emozioni spiacevoli e che sono utili anche se ci fanno male. La tristezza, ad esempio, ci permette di rallentare, prenderci del tempo per noi e, condividere questa nostra emozione, indurrà gli altri a starci vicini e magari a coccolarci un po’.

Insomma l’educazione alla morte, come abbiamo cercato di spiegare, rientra nella complessità del processo formativo di un soggetto che, se adeguatamente affrontata, può permettere al bambino, un giorno adulto, di vivere le difficoltà nella gestione delle emozioni legate alle perdite, inevitabili nella vita, attingendo a maggiori risorse interiori.