Quella del 15 marzo 2019 è una data che rimarrà nella storia, un po’ come quelle delle giornate del ’68. Era tempo che non si vedevano dei giovani e soprattutto dei ragazzini, sfilare in modo ordinato, colorare le strade per portare all’opinione pubblica la questione così importante della preservazione e della tutela dell’ambiente e con esso dell’umanità. Nella giornata di Venerdì 15 marzo 2019 è emerso con pressante forza un movimento fatto di ragazzini che chiedono agli adulti di pensare a loro e al futuro. Le scelte dell’ambiente sono sicuramente importanti, sono scelte i cui frutti non si vedono mai nell’immediato, ma hanno ripercussioni importanti sul futuro e sulla vita di chi viene dopo di noi. È sicuramente bello e piacevole vedere che dei ragazzini si prendano cura del loro futuro, e trovo stimolante che chiedano a noi adulti di fare la nostra parte.

Desidero, quindi, leggere questi fatti proprio da adulto, accogliendo dalle mani di questi ragazzi e ragazze la responsabilità che mi stanno chiedendo. Infatti, la responsabilità è questione che riguarda noi adulti: non i ragazzi. Un ragazzo e una ragazza non sanno cosa sia la responsabilità, il loro compito, in particolare da adolescenti, è proprio quello di impararla e la possono imparare solo se la trovano negli adulti che gli stanno a fianco.

Ma cosa è la responsabilità? Rispondo a questa domanda facendo riferimento alla società a cui apparteniamo e rileggendo, allo stesso tempo, alcuni pensatori che su questo tema hanno riflettuto e scritto.

L’esperienza di vita degli uomini e delle donne si realizza in un mondo complesso il cui periodo storico prende il nome di post-modernità.  L’uomo va verso le cose, gli animali e le altre persone interagendo con essi ed esprimendo attraverso la relazione potenzialità, prospettive e progettualità. La relazione è, quindi, il luogo complesso dove trova senso il tentativo di integrazione della complessità, dove può emergere una sintesi che conduce verso uno sviluppo e una crescita dell’individuo e, di conseguenza, verso il suo benessere.

L’uomo quindi è essere in relazione, una relazione, come dice Buber che «si fa Io nel Tu»[1]. Secondo il pensatore tedesco, nell’esperienza umana ci sono due tipi fondamentali di relazioni: Io-Tu e Io-Esso. La differenza tra i due è data dall’atteggiamento del soggetto e non dalla diversità della realtà che sta di fronte all’Io. In altri termini l’Io di fronte all’Esso si ritrova soggetto dello sperimentare e dell’utilizzare, mentre l’Io di fronte al Tu acquista una coscienza di sé soggettiva[2].

Solo nell’Io-Tu si ha una autentica relazione: «Io mi faccio nel Tu e facendomi dico Tu»[3].

Facendo un passo ulteriore nell’indagare il senso della relazione potremmo anche notare che l’uomo non è solo relazione tra Io-Tu, ma anche relazione “con”. Infatti, la relazione tra gli uomini, nei suoi elementi costitutivi del maschile e del femminile, non può che essere una relazione-con. «Lo stare-di-fronte ad Adamo da parte della donna è una parità che la costituisce come colei che, per prima e unica, introduce l’uomo sul sentiero del dialogo»[4].

In questo orizzonte relazionale possiamo inquadrare i due bisogni fondamentali dell’uomo: il bisogno di autorealizzarsi e quello di appartenere. Autorealizzarsi come spinta ad essere se stessi, individui maturi e capaci di affrontare il mondo con la propria identità. Appartenere è il bisogno fondamentale delle relazioni, bisogno dell’altro a cui legarsi e a cui rimanere legato. Queste due spinte si trovano agli estremi opposti di un continuum, sul quale, la dominanza dell’una sull’altra, porta a situazioni inumane: la folla anonima da un lato e l’individualità persa e frammentata dall’altro[5].

Partendo da queste riflessioni possiamo definire la responsabilità come il porsi di fronte all’altro facendosi interpellare dalle esigenze e dai bisogni dell’altro, portando allo stesso tempo i nostri propri bisogni, la nostra propria identità.

Ed è in questi termini che questo movimento di ragazzi ci interpella come adulti e ci invita a porci di fronte a loro con la nostra identità di padri, madri, politici, insegnanti, educatori per aiutarli a dare significato al loro bisogno di appartenenza e di identità. Solo se noi adulti sapremmo farli rispecchiare in noi offrendo loro una base sicura su cui poter sperimentare i loro liberi passi, essi sapranno in futuro camminare da soli per realizzare i loro sogni.

Per noi adulti, quindi, quella del 15 marzo 2019 non può che essere una doppia sfida che questi bambini, adolescenti e giovani ci lanciano. Da un lato dare loro risposte serie in merito all’ambiente in cui viviamo e di cui noi adulti siamo i primi responsabili; secondo offrire loro un’opportunità di crescita e di maturazione ridonando loro significati. L’alternativa è quella di lasciarli solitariamente navigare nel web dove tutto è confusamente presente. Solo la responsabilità di noi adulti può dar loro la possibilità di scegliere parole adeguate con significati ed emozioni conseguenti per permettere loro di fare sintesi fra appartenenza e identità e così camminare con le proprie gambe verso un futuro la cui strada avremmo contribuito a preparare.

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Note

[1] M. Buber (1959), Il principio dialogico, Edizioni di Comunità, Milano, 30.

[2] Cfr. G. Milan (2002), Educare all’incontro. La pedagogia di Martin Buber, Città Nuova, Roma.

[3] M. Buber (1959), Il principio dialogico, Edizioni di Comunità, Milano, 16.

[4] G. Salonia (1999), Dialogare nel tempo della frammentazione, in Armetta F.,Naro M. (Eds), Impense Adlaboravit, Pontificia Facoltà Teologica, Palermo, 576.

[5] Cfr. G. Salonia (2017), Danza delle sedie e danza dei pronomi. Terapia gestaltica familiare, Il pozzo di Giacobbe, Trapani.