Ammettiamolo! Se davanti a scuola c’è il papà e non la mamma, se a danza o in piscina c’è il papà a preparare i bambini per l’attività sportiva, al parco, a catechismo.. Siamo portati a fare due tipi di pensieri: “Che bravo papà!” e “ Che madre snaturata!”. 

Sempre più spesso, infatti, le mamme sono occupate tutto il giorno a lavoro e i papà si destreggiano sempre meglio tra biberon e pannolini. Ma è davvero così strano che un padre si occupi della gestione quotidiana del proprio figlio? È davvero così strano che un padre sia davvero presente nell’educazione della prole? 

In effetti, la psicologia evolutiva ha parlato in modo più che esaustivo e a volte ossessivo, del rapporto tra la madre ed il bambino, ha analizzato tutte le possibili dinamiche che possono nascere da questo legame così profondo; sono state viste le conseguenze evidenti e nascoste, positive e negative che nascono da un buon rapporto o da un rapporto disfunzionale o ambivalente con la madre. Sono state attribuite responsabilità eccessive alla figura materna, tanto che spesso le donne si sentono ancora colpevoli se c’è qualcosa che non va nel proprio bambino e questo perché sono abituate a sentirsi molto sole nel lungo e difficile processo educativo, soprattutto se questo avviene in assenza di un compagno o di una figura che la possa aiutare con i figli. 

Finalmente oggi, si sta riconoscendo l’importanza della figura e del ruolo paterno nella formazione della personalità del bambino e della bambina.  

Il papà è fondamentali sin dai primi mesi quando, a livello simbolico, spezza il legame simbiotico che il bambino ha con la propria mamma sin dalla nascita e permette a tale unione di non diventare un laccio soffocante che ostacola lo sviluppo. Il padre offre al figlio uno sguardo diverso con cui guardare il mondo e gli permette di esplorare ciò che esiste oltre l’abbraccio materno.  

I papà sono anche educatori nel vero senso del termine: parlando con i propri figli di argomenti legati alla vita quotidiana, del calcio, di automobili, facendo la lotta e giocando con loro trasmettono gli insegnamenti che permettono ai ragazzi di vivere nella società, di instaurare relazioni con i coetanei, di imparare fin dove possono spingersi e dove invece ci sono regole precise e confini da non superare. In questo modo il figlio potrà incanalare la sua aggressività in modo corretto, imparerà a gestire le frustrazioni e a rispettare gli altri. 

I padri sono più destabilizzanti delle madri: non si accontentano e spesso non giustificano i figli, chiedono loro di spingersi oltre i propri limiti: ad esempio di fronte ad un bimbo che impara le prime parole la mamma di solito tende a comprendere cosa vuole dire il piccolo, mentre il papà esigerà che la frase venga riformulata in modo più chiaro, facendo sforzare il bambino così da farsi capire da tutti. 

Durante l’infanzia il padre stimola la curiosità del bambino e ha l’importante funzione di metterlo davanti alla realtà, aiutandolo ad uscire progressivamente dalla visione onnipotente tipica della prima infanzia. 

Durante l’adolescenza la figura maschile diventa importante per lo sviluppo dell’identità sessuale dei figli: i ragazzi si identificano e si confrontano con lui, mentre per le ragazze avere uno sguardo maschile in famiglia le rassicura circa la loro femminilità che sta nascendo.  

È sempre importante, però, che i genitori riescano a mantenere la giusta distanza dai figli, non affettiva ma educativa, che possa consentire ai figli di tirare fuori ogni strumento già presente in loro per crescere in autonomia. 

Diventa quindi fondamentale che la coppia educativa abbia un duplice obiettivo: 

  • Prima di tutto la coesione: papà e mamma devono decidere regole e strategie educative insieme, parlarsi, condividere e mostrarsi uniti (parliamo di tutto, tranne che di come educare i nostri figli!). È necessario che anche le madri lavorino su questo. Spesso oggi si incontrano padri che non riescono a impostare il proprio ruolo perché le madri non glielo lasciano agire. Usare la coesione significa riferirsi l’uno all’altro e fare un gioco di squadra che abbia come finalità l’autonomia dei figli 
  • Poi la regolazione: occorre un padre che sappia comunicare che la regola non è un impedimento, ma la definizione dello spazio in cui potersi muovere liberamente. Se la regola è chiara, adeguata e contestuale e, dagli 11 anni in poi, anche negoziata, sarà uno strumento prezioso per aiutare i figli a diventare autonomi e responsabili. Per questo è importante che, soprattutto durante la preadolescenza e l’adolescenza, se fino a quel momento il “front office educativo” era sostanzialmente affidato alla madre, il padre sia sempre più legittimato e coinvolto. «Ne parlo con tuo padre» non è più una minaccia punitiva, ma dimostra coesione e che è avvenuto un passaggio del testimone. 

Insomma, risulta di fondamentale importanza per la sana crescita dei figli che entrambe le figure educative siano presenti e che, all’interno del contesto famigliare e della quotidianità della prole, siano collaborativi in modo che il figlio abbia la possibilità di credere nel proprio sistema di riferimento, la famiglia, e che quest’ultima possa mirare all’autenticità e alla stabilità, che nasce dalla sintesi delle caratteristiche di entrambi i genitori.